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Romeo venturelli

     

Romeo Venturelli


Forse, anzi senz'altro, il più grande incompiuto del grande romanzo del ciclismo. Venturelli nato il 9 dicembre del 1938 a Lama Mocogno (MO), ma pavullese più che d'adozione, si segnalò fra i dilettanti con risultati eccezionali. Coppi lo vide e bastò poco al Campionissimo, per capire che quel ragazzone aveva avuto dalla natura dei mezzi eccezionali. Il grande Fausto lo volle al suo fianco nella San Pellegrino, ma non fece in tempo a trasmettergli il suo affetto, ed i suoi consigli.
Romeo fu l'ultimo corridore a vedere Coppi vivo e fu proprio lui che accompagnò a casa il leggendario Campionissimo, di ritorno dalla fatale battuta di caccia nell'Alto Volta. Il debutto di Venturelli con quella maglia bianco-arancio che doveva essere anche di Fausto, fu qualcosa di ineguagliato nella storia del ciclismo. Praticamente all'esordio gareggiò nella Parigi-Nizza e nella cronometro di Nimes, seppe irridere gli avversari, in particolare Anquetil e Riviere. Una settimana dopo stracciò tutti a Reggio Emilia. Andò al Giro della Romandia e nella tappa più difficile, con arrivo in salita a Montana, staccò tutti.



Fausto Coppi a colloquio con Romeo Venturelli. Fra i due Renzo Badiali, sulla cui
macchina Fausto Coppi seguì la corsa di Romeo all'ennesima vittoria tra i dilettanti (Proprietà della foto: Renzo Badiali)

Un nuovo Coppi? Un grande giornalista come il compianto Dante Ronchi un giorno mi raccontò un particolare a proposito di questo personaggio unico. Dopo il successo in Svizzera mentre tutti volavano al pensiero di un nuovo super per il ciclismo italiano, Gino Bartali, allora direttore sportivo della San Pellegrino, avvicinò Dante e gli disse che Venturelli non aveva niente del corridore. Stupito ed interdetto, Ronchi, sincero ammiratore di Ginettaccio, ne prese atto non senza dubbi.
Dopo qualche giorno Venturelli esordì al Giro e nella cronometro di Sorrento diede una lezione a gente come Anquetil, Baldini e Carlesi. "Vuoi vedere che il grande Gino s'è preso un granchio?" si chiese Ronchi. Due giorni dopo la controprova diede piena ragione a Bartali. Venturelli svuotato dalla sua vita folle abbandonò il Giro. Ritornò alle gare a fine stagione, giusto in tempo per vincere con l'imolese Diego Ronchini il Trofeo Baracchi. Ma la sua vita non ne voleva sapere delle leggi dello sport e si eclissò.
Tornò prepotentemente nel 1965. Dopo aver conquistato il secondo posto al Giro di Sardegna vinto da Van Looy, ed aver fatto vedere i sorci verdi alla celebre "guardia rossa" del "sire di Herentals", andò a vincere il Giro del Piemonte battendo in volata Poggiali, col quale aveva staccato tutti. Una brutta caduta a Sanremo, aldilà delle ferite riportate, fu il pretesto ideale per eclissarsi di nuovo.
Tornò ancora nel 1972 da isolato, ed anche in quelle poche battute, già ultratrentenne fece capire che aveva qualcosa di divino. Ma il suo fisico era stato troppo minato dalle sue scelleratezze. Qualche esempio delle sue bravate? Era capace di mangiare come un pazzo furioso e di gareggiare con gli altri su chi resisteva di più a tavola. E questo magari alla vigilia di una gara. Qualcuno, anche se non ricordo chi, mi raccontò che la notte precedente una prova importante non andò praticamente a letto, ed alle quattro del mattino si mangiò un intero "formaggio di fossa". Era capace di bersi diverse bibite ghiacciate dopo un arrivo, in un'occasione addirittura venti. Amava il Campari come un assetato che trova un bicchier d'acqua e si potrebbero fare decine di esempi a riguardo.
Venturelli era dunque incapace di svincolarsi dalle quelle "bettolesche" bravate tanto presenti nella quotidianità degli uomini. Una cosa comunque è certa, egli era straordinario a cronometro, in salita e possedeva pure un ottimo spunto veloce.
Queste doti le ha avute solo un certo... Eddy Merckx.

 

 

 

 

I giornalisti della Gazzetta dello Sport Giuseppe Castelnovi (oggi in pensione) e Marco Pastonesi, redattore di ciclismo e rugby in piena attività, ci hanno proposto la publicazione di un libro che racconti la storia di questo atleta pavullese degli anni ’60, che è sicuramente stato lo sportivo della nostra città che ha raggiunto il massimo della notorietà, sia nazionale che internazionale.

Il libro, che recupererà anche un archivio fotografico importante dell’epoca, recupererà alla dignità di stampa anche un periodo della storia di Pavullo, degli anni del dopoguerra, in cui lo sport e il ciclismo in particolare furono elemento importante di aggregazione sociale e rinascita collettiva.

A quel periodo parteciparono, con grande impegno, uomini importanti della Pavullo dell’epoca, come il Cav. Alfonso Lipparini presidente dell’US. Pavullese e Trento Montanini, mitico DS della squadra ciclistica, in cui militarono anche altri atleti di successo come i fratelli Giordano e Gabriele Giusti, Benetti e Veggetti.

L’Amministrazione Comunale ha accolto con grande interesse la proposta, che oltre ad avere un indubbio valore di recupero storico, può essere di stimolo verso le nuove generazioni sportive, ma, dati i tempi di grandi difficoltà economiche, ha bisogno del coinvolgimento di realtà associative come i Lions e Rotary Clubs notoriamente  sensibili a proposte interessanti per la collettività.

                                                                                                        

 

 

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